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davideloperfido97

La vecchia sciamana del fondale - Metafisica della tinca

Ricordo che nei testi di pesca più datati la pesca alla tinca veniva spesso descritta quasi come fosse un rito, un po' come quella notturna all'anguilla. Un ciuffo di vermi dell'orto oppure un pugno di mais, galleggiante a tappo anni '80 di quelli che ancora si trovano in alcuni negozi di pesca "vintage" e una vecchia canna in fibra di vetro da tre o quattro metri, con il classico campanello posto sopra al cimino. Cappello da pesca calato fino alla fronte, camicia di flanella bella spessa e nazionale senza filtro in bocca.


Tutto era più lento e si conferma così un tempo diverso, con meno fretta e meno turisti, le spiagge sono dei pescatori e di chi si ferma a fare quattro chiacchere con loro nelle sere d'estate. Le sagome verdi smeraldo che pascolano sul fondo invece sono sempre le stesse, con la stessa saggezza e lo stesso animo.





La tinca è un pesce schivo e con lo sguardo un po' falsamente perso e molto menefreghista, un pesce che si muove lento sul fondale come una mucca su un prato in alpeggio.

Nella mitologia indù la vacca è ritenuta sacra per diversi motivi, fra questi mi ha sempre colpito il fatto che viene considerata un animale che si limita ad Essere, esistere al solo scopo dell'esistenza senza preoccuparsi troppo, qualità forse essenziale che in quest'era così veloce e confusa spesso manca a noi esseri umani.


Credo che le tinche siano un poco come le mucche.


Riesco a figurarmele lì, su uno dei fondali del mio lago preferito che si spostano lentamente conoscendo perfettamente ogni pietra ed alga, si sfiorano per inerzia mentre pigramente e solo quando ve ne è la necessità si nutrono di ver de vase e qualche filamento verde nutriente.


La tinca non ha necessità di muoversi agile sotto il pelo della corrente per predare qualche effimera la sera in estate, come fanno le trote, e non ha nemmeno la sfacciataggine arrongante del luccio che sbuca dal nulla per aggredire un incauto carassio di passaggio.


Quando pescando riesco a portare a guadino una tinca la prima cosa che noto, oltre alle meravigliose sfumature smeraldo più o meno scure, sono gli occhi.


Gli occhi delle tinche sono pieni, rassegnati ma sereni qualunque sia il loro destino. Questi pesci hanno uno sguardo molto espressivo, che varia dal menefreghista al vago, un po' come i vecchietti che siedono fuori dalle sedie dei bar in paese. Loro il fondo lo conoscono bene e non hanno alcuna voglia nè necessità di spiegare ai giovani persici reali, così scattanti ed incauti, quali sono i pericoli della rete e degli uccelli neri del lago.

Le pinne spesso possenti, con sfumature che variano dal verde al nero passando per il giallo mi lasciano a bocca aperta ogni volta e sono sicuro che se mi chiedessero quali pesci di lago preferisco la tinca sarebbe sicuramente fra le prime opzioni.


Il fascino di uno di questi pesci pescati con qualche ricetta di polenta old-school dei nostri nonni, alla cui farina venivano aggiunti aromi come vaniglia anice o cannella, è innegabile; così come lo sguardo indifferente ma carico di emozione ed energia che ci regala la tinca prima di guadagnare di nuovo il fondo dopo il rilascio. Lo sguardo indifferente come quello di un anziano che senza entrare troppo nello specifico vuole forse farci capire qualcosa. Una signora adornata di un vestito verde e di uno sguardo profondo, come quello di una sciamana che sembra dirci che forse ogni tanto sarebbe il caso di rallentare da questa vita frenetica dove tutto e niente sembrano avere uno scopo, ritornando al limitarsi ad essere e basta nel suo senso più puro e nell'istante presente, come tinche sul fondo e come mucche in un prato.







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